La bella e la bestia di Christophe Gans

 

La fiaba francese per eccellenza resa famosa dall’immortale testo originale di Madame de Villeneuve, universalmente nota nella cupa versione disneyana, ritrova oggi un nuovo adattamento fantasy e barocco, dalla fastosa messa in scena tanto quanto spoglio nei sentimenti. Un sommo rimando al ‘pantheon divino’ – dove i mostri generavano nell’uomo un insieme di fascino e repulsione – che deve molto alla mitologia greco-romana – così come un tentativo pregnante (o perlomeno eccessivamente criptico) di smarcarsi dal celebre film in live action di Jean Cocteau del 1946. Dopotutto, il cinema non è mai grande abbastanza se non ricorda il suo trascorso proiettandosi nel futuro?

Ad essa si ispira Christophe Gans, sviluppando quegli elementi in passato trascurati e declinando il genere al suo volere visionario, per un’ambientazione in era napoleonica che rivela fin da subito la sua essenza individuale e produttiva. Poiché ben deposte erano le attese, vuoi per un regista abituato ai grandi budget europei (Il patto dei lupi, senza considerare il notevole e sottovalutato Silent Hill), o vuoi per una grandiosità digitale a rappresentare una mercé più unica che rara, costruita tutta intorno al rimando animato dell’estetica di Miyazaki. Invece, nonostante il dipanarsi della trama su una progressione binaria e con un’enfasi evocativa priva di retaggio, La Bella e la Bestia si snoda per vie traverse, nei rapporti sotterranei fra le opere letterarie (la seduzione della paura) e quelle cinematografiche alla “formula Hammer”, tanto in voga nell’Inghilterra degli anni sessanta-settanta. La purezza dell’amore nel confronto tra il mascolino e il femminile non riesce così a far breccia, mentre il cuore interiore della favola svela una debole componente romantica: uno script a cui non sembra interessi il graduale avvicinamento di Belle al proprio carceriere, puntando tutto sugli ingenti investimenti scenografici, che ricordano da vicino la nuova ondata hollywoodiana di genesi come Il cacciatore di giganti.

immagine di lea seydoux bella e la bestia

1810. Dopo il naufragio delle sue navi, un mercante (André Dussollier) è costretto a ritirarsi in campagna con i suoi sei figli. Tra di loro c’è la più giovane, Belle (Léa Seydoux). Durante un faticoso viaggio, il mercante viene colto da una tempesta di neve e si imbatte nel castello magico governato dalla Bestia (Vincent Cassel), che lo condanna a morte per aver rubato una rosa. Sentendosi responsabile della terribile sorte, Belle decide allora di offrire la propria vita in cambio di quella del genitore. Nella dimora della Bestia non è però la morte che l’attende, bensì una vita dolorosa, che alterna momenti di magia, allegria e malinconia. Ogni sera, all’ora di cena, i due coinquilini s’incontrano. Imparano a conoscersi come due estranei diversi in tutto, mentre al calar della notte Belle tenta di svelare i misteri del suo regno. Dei sogni che poco a poco le faranno visita, rivelando il passato d’oro e tragico della Bestia.

Architetto visivamente ardito, Gans ama giocare con i codici di un film d’epoca dove l’unico imperativo sia l’eleganza dei costumi, la spettacolarità degli interni (ben riuscita la ‘Sala da Ballo’), la ricchezza dei tessuti e gli esterni invasi dai rampicanti della foresta, che circonda ed imprigiona il gotico castello. Passando da un registro all’altro – dai toni favolistici agli eclettici eccessi barocchi – La Bella e la Bestia mostra i limiti di una prolissità retrograda senza riuscire ad approfondirne il tormento; snocciolando a fatica eventi e situazioni il cui sviluppo è pressoché piatto, incapace di rendere fino in fondo la trasformazione, tutta interiore, della protagonista. Un universo metà artigianale e metà virtuale, che l’esplosione dell’amore dovrebbe alimentare il motore stesso del racconto. Ciò non avviene, bensì è il sovrabbondante manifestarsi di citazioni altrui (con atmosfere di burtoniana memoria) a farla da padrone, mentre l’estetica da spot indugia sulle labbra carnose di Léa Seydoux, mai così avvolta in abiti sfarzosi da giustificarne l’algido portamento. Seppur vero, che ad ogni sequenza di forte impatto ne consegue una di delicato incanto (come la camera di Belle, che sfoggia un’anatomia aggraziata, piena di curve, in stile puramente rinascimentale), la sceneggiatura di Sandra Vo-anh fatica a dar spazio alla Bestia di Vincent Cassel, che al di là di urla e minacce, non va oltre l’aspetto spaventoso e privo del necessario mordente.

Dai movimenti di camera alla fotografia variopinta di Christophe Beauncarne, infine i pregi si bilanciano ai difetti, risollevati in parte dall’ottima qualità degli effetti speciali. Senza guizzi di particolare immaginazione, è poi la soffice melodia di Pierre Adenot ad aggiungere note di colore e magia a una narrazione già piena di slanci onirici. Per una pellicola dignitosa ma che non riesce a mantenere tutte le premesse, impedendo proprio quel coinvolgimento emotivo ‘punto focale’ del cult in bianco e nero di Cocteau. Un gran peccato, che farà storcere il naso a qualcuno o gridare per molti all’occasione mancata. Forse il maggior merito de La Bella e la Bestia sta nell’aver confermato un mercato, quello in Francia, senz’altro in buona salute. Dall’impianto ambizioso e innegabilmente qualitativo, ma qui succube della sua ‘maestosità’ ricercata.

La Bella e la Bestia

  • Regia: Christophe Gans
  • Cast: Con Vincent Cassel, Léa Seydoux, André Dussollier, Eduardo Noriega
  • Francia/Germania 2014

Trailer de La bella e la bestia

Francesco Bruni

Lynchiano di spirito, Malickiano di adozione, mi cimento con la 7 Arte da quando possiedo memoria. Ho collaborato con diverse testate online, esplorando il cinema in tutte le sue forme, prodigandomi nella tecnica audiovisiva come nella scrittura di critica giornalistica. DaDamovie è il mio primo blog cinematografico.
 

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