Psycho, il capolavoro horror di Alfred Hitchcock

 

Questa volta ci occupiamo di un film più famoso dei precedenti da me trattati: Psycho di Alfred Hitchcock (1960).

La protagonista, Marion Crane (Janet Leigh) sottrae al suo principale 40.000 dollari e si mette in fuga. Giunge in un motel isolato, gestito da un giovane introverso, l’ormai famigerato Norman Bates (Anthony Perkins).Il timido proprietario ha due passioni: la tassidermia (impaglia gli uccelli) e il voyeurismo; oltre a ciò, veniamo da subito a sapere che è tormentato da una madre dispotica della quale, però, sentiamo solo la voce. Nel motel e nella casa di Norman sono quindi presenti solo questi tre personaggi, attorno … il silenzio. Marion decide di farsi una doccia, dopo aver preso la decisione di restituire il denaro. Mentre la donna si lava, qualcuno la osserva …

È l’occhio di Norman Bates che la spia da un buco nella parete!

Ad un certo punto un’ombra appare dietro la tenda, quest’ultima viene repentinamente aperta e una serie di fendenti colpisce ripetutamente la ragazza che muore. Chi è l’assassino? Ad indagare sarà dapprima un investigatore privato (che farà una brutta fine) e successivamente la sorella di Marion con il suo fidanzato.

Il film è, probabilmente, il più grande successo di pubblico di Hitchcock, il quale affermerà di aver diretto gli spettatori, così come si suona un organo (in Morandini 2009). Considerato, a ragione, un vero e proprio film culto, riesce a formulare, con la sequenza della doccia (della durata di soli 45 secondi), senza alcun dialogo e attraverso l’occhio sbarrato della protagonista ormai cadavere, un forte interrogativo sull’atto e sull’enigma della visione (in fondo, insieme a Norman, si potrebbe dire che anche noi spettatori spiamo la ragazza). Quest’occhio sbarrato, mentre l’acqua e il sangue vorticano circolarmente nello scarico, ci rimanda all’occhio tagliato di Bunuel in Un chien andalu (1929), ma anche a Blow up di Antonioni (1966) o al recente Watcher (2022) della regista Chloe Okuno (con Maika Monroe, vi ricordate It follows?).

Chi vede chi? Chi spia chi?

Un ultimo inevitabile rimando va fatto a Nope di Peele (2022) sul tema della pulsione a vedere l’invedibile’. Non è forse quello dei cinefili una sete insaziabile di immagini mai viste e non è forse l’ossessione del miglior regista creare il ‘mai visto’?

Difficilmente si trovano nella storia della settima arte, momenti di puro cinema di tale coinvolgimento, capace di aggredire la psiche dello spettatore che, come Marion, si ritrova senza difese rispetto all’efferata violenza delle immagini (succede anche in Kurutta Ippeji del 1926). Hitchcock riesce a ideare una tra le sequenze più efficaci di sempre, per forza drammatica, con la sola abilità di montaggio, penetrando a fondo le nostre più recondite paure (farsi la doccia è uno dei momenti di maggiore vulnerabilità di fronte ad un ipotetico assalitore esterno).

Ma torniamo alla trama facendo un salto indietro rispetto alle indagini.

Dalla tipica casa da film horror, su una collina, sentiamo echeggiare disperata la voce di Norman <<Mamma, mio dio, cos’è tutto questo sangue!?>>.

Seguiamo poi l’uomo nella stanza del motel, dove cancella tutte le tracce dell’efferato omicidio; pone il corpo di Marion nella sua macchina e la fa sprofondare in una palude (la stessa modalità di nascondimento la ritroviamo in X: a sexy horror story, 2022). La trama è tratta da un romanzo di Robert Bloch (1959), adattato da Joseph Stefano. Si regge tutta sull’ambiguo rapporto tra Norman e la madre, gelosa del figlio al punto tale da detestare la sola idea che lui parli con una donna. Scopriremo più avanti (attenzione spoiler!) che Norman e la madre sono la stessa persona.

Il ragazzo, affetto da disturbo schizofrenico, aveva tempo prima ucciso la madre, custodendone il cadavere in soffitta e negando a sé stesso il terribile delitto. Tra istanze edipiche e sessuofobia, la pellicola è un vero e proprio saggio di suspence cinematografica. L’evento clou avviene molto dopo l’inizio del film e la forza primigenia della sequenza del delitto impatta efficacemente sulla tranquillità fino a quel momento assicurata allo spettatore. Così come l’acqua e il sangue scendono nello sciacquone e scompaiono, ugualmente una giovane vita viene annichilita dalla follia. Voyeurismo e rimozione (esemplificata dalla palude) si innestano in un racconto diretto magistralmente, che crea puro terrore.

I 45 secondi della sequenza della doccia richiesero ben sette giorni di lavorazione e 72 posizioni della macchina da presa. La colonna sonora è di B. Hermann e il film ricevette 4 nomination agli Oscar (regia, fotografia, attrice e scenografie). Rifatto (identico) da Gus Van Sant nel 1998, ebbe tre seguiti. Anthony Perkins, l’attore che interpreta Norman Bates, restò imprigionato nel ruolo dello psicopatico, da alcuni ritenuto <<il più famoso ‘pazzo’ della storia del cinema>> (Farinotti, 2011).

Hitchcock, come in molti altri suoi capolavori (La signora svanisce, Il ladro) si diverte a giocare con gli spettatori, sovvertendone le aspettative e presentando la sequenza centrale, priva di dialoghi, si dimostra anche maestro di cinema muto, conferendo alle immagini una potenza che solo pochi altri registi (Malick, Villeneuve, Refn o Lynch) sono capaci di dare; potenza che supera il livello della coscienza e si insinua subliminalmente nel nostro inconscio.

Il regista, oltre all’efferata sequenza in doccia, ci regala altre immagini iconiche: il teschio della madre seduta sulla sedia girevole e la morte del detective privato. Il film è quattordicesimo nella top 100 dei migliori film statunitensi di tutti i tempi; citato innumerevoli volte nella cultura pop, dai Simpson (ben 8 volte) a Dylan Dog (4). La presenza di numerosi specchi rimanda al tema del doppio; nel finale, emblematicamente, all’agghiacciante sorriso di Norman, si sovrappone il teschio della madre. Raramente il tema dell’identificazione col cattivo è svolto così bene.

Alcuni esempi li abbiamo ne I prevaricatori, 1915 con Sessue Hayakawa o con Michael Corleone nella trilogia de Il padrino (1972, 1974, 1990) o nelle serie Dexter (2006-2013), Breaking Bad (2008-2013) e ancor più in Peaky Blinders con il carismatico gangster Thomas Shelby, interpretato dal bravissimo e bellissimo Cillian Murphy, 2013-2022. Probabilmente Psycho ha inventato il genere ‘slasher’ (o meglio, lo ha connotato definitivamente), genere che avrà la sua golden age tra gli anni 70 e 80 con Halloween di Carpenter (1978) e una rivitalizzazione con Scream di Wes Craven nel 1996.

Alcuni hanno visto nel film la conferma di una visione puritana. L’eroina, all’inizio, viene mostrata svestita, in una scarna stanza d’hotel con il suo fidanzato e, invece dell’intimo bianco apparirà in seguito con un reggiseno nero, forse a significare la sua caduta morale (dove nella logica puritana, non vi è possibilità di redenzione). Come in altri film del grande regista inglese, c’è una forte sottotraccia sessuale. La stessa scena delle pugnalate (rese solo grazie al montaggio) può rappresentare la frustrazione sessuale del protagonista, così come appare evidente in altri momenti del film. Norman è costantemente inquadrato mentre mangia caramelle, un modo per dirci che è ancora ‘un bambino’ (edipicamente ‘innamorato’ della madre). Una nota va all’interpretazione di Perkins. L’attore riesce benissimo a trasmettere l’impressione di un giovane uomo disturbato che nasconde un oscuro segreto. La sua è una performance perfetta, allo stesso tempo minacciosa e che ispira pietà. Gli spettatori restano avvinti dall’impressione di avere di fronte una persona che non è interamente capace di controllare le sue azioni, un uomo privato di un’identità definita (veste i panni della madre), circondato da uccelli impagliati (a Marion dirà <<mangi come un uccellino>>) e che vive solitario su una casa in collina (ispirata a un quadro di Hopper, The house by the railroad).

Questa casa e la zona circostante sono ammantati da un alone di oscuro mistero; lo sceriffo, ad esempio, dice <<ti ricorderai di quel fattaccio 10 anni fa …>>.Intuiamo che il luogo cova in sé una ‘ferita’, una macchia indelebile che trova il suo epicentro nella casa di Norman. Le insegne del Bates motel vengono accese casualmente, quasi ad attirare le vittime designate; infatti, lo stesso Norman dice a Marion, che afferma di essersi persa <<lo immaginavo, nessuno si ferma qui a meno che non si sia perso>>. E non è forse Marion un’anima perduta? L’atmosfera sinistra che si respira fa apparire il luogo quasi un anti-inferno (e torna una delle interpretazioni suggestive di It follows), dove la palude inghiotte tutti i peccati che ‘la casa’ compie (il concetto di casa ‘malvagia’ oltre che nella nota serie di film horror La casa, la si trova anche nella prima delle finora dieci stagioni di American Horror Story).

L’abitazione, col tipico alone da horror gotico (diversamente da quello rurale della saga della famiglia Firefly), fonde caratteristiche americane ed europee. Il topos dei passanti che escono dalla ‘strada principale’ per avventurarsi in strade secondarie, ricorda appunto la saga cult di Rob Zombie inaugurata con La casa dei 1000 corpi (2003). Il pubblico dell’epoca si trovò davvero di fronte ad un oggetto filmico a dir poco inedito. Oggi, siamo abituati a vedere killer psicopatici al cinema così come nelle serie tv (Il silenzio degli innocenti, American Psycho o il più recente Black phone), ma nel 1960 questo film era davvero unico nel suo genere.

Un vero classico, in breve… un capolavoro.

  • Consigliati: X: The cheat (Cecil B. de Mille, 1915), Halloween (Jhon Carpenter, 1978) Il silenzio degli innocenti (Jonathan Demme, 1991), Scream (Wes Craven, 1996), American Psycho (Mary Harron, 2000), La casa dei 1000 corpi (Rob Zombie, 2003), Black phone (Scott Derrickson, 2021), X: A Sexy Horror Story (Ti West, 2022), Nope (Jordan Peele, 2022), Watcher (Chloe Okuno, 2022).

Regia: Alfred Hitchcock

Cast: Anthony Perkins, Janet Leigh

USA 1960

Romuald Marchionne

Letterato di formazione e fumettaro da sempre, amo il cinema in ogni sua singola sfaccettatura, genere e stile, periodo storico, regista e nazione. La folgorazione è avvenuta con Furore (The grapes of Wrath, 1940) di John Ford. In seguito I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), con i sette minuti più belli della storia del cinema, mi hanno rapito per sempre nell'infinito universo della settima arte. Nella mia top 10 c'è di tutto, anche se il realismo poetico francese degli anni '30 ha un posto speciale nel mio immaginario...

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