Taking Off, l’esordio americano di Milos Forman

 

L’esordio americano di Milos Forman riesce con vivacità a scattare un’istantanea sullo sconclusionato sforzo della classe media yankee di capire le istanze dei movimenti giovanili.

Siamo a New York, agli inizi degli anni 70 in pieno movimento hippy. Il tema del film si incentra sulle incomprensioni generazionali. Da una parte i giovani che cercano nuove vie di emancipazione (si vedano Il laureato, 1967 e Easy Rider, 1969) tra provini e audizioni, droghe (più o meno leggere) e sesso libero; da un’altra, agiati genitori frastornati che cercano di capire come mai i propri figli lascino studi e famiglie per rincorrere un sogno di libertà. Naturalmente non ci riescono (o perlomeno, non pienamente). Due coppie di genitori si uniscono alla ‘società genitori figli scappati’ e, nel disperato tentativo di ritrovare i figli, ‘impareranno’ a drogarsi e a dilettarsi in festose esperienze di strip poker. Tra toni assurdi e isterici, scopriamo che Jeannie, la figlia della coppia protagonista (Larry e Lynn), non è realmente scappata ma, al suo ritorno, esasperata dall’interrogatorio pressante dei genitori fugge davvero…

I borghesi nel tentativo di immedesimarsi nei figli si faranno beccare in un esordio d’ ‘orgetta’ proprio da uno dei figli ‘fuggiti’ (ma poi tutto si aggiusta).

Sulla base di una sceneggiatura di un grande Jean – Claude Carrière, Forman, da poco emigrato negli Stati Uniti (di lui citerò solo due capolavori Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975 e Amadeus, 1984), sforna una frizzante e, in fondo conciliante, opera satirica sulla società americana borghese dell’epoca (sicuramente meno caustica rispetto ai film di Buňuel, tra i tanti L’angelo sterminatore, 1962 e Il fascino discreto della borghesia, 1972). In un mélange di sequenze esilaranti con altre più cupe, esplora nella fisiognomica dell’uomo medio i tratti di una crisi esiziale, con momenti e situazioni tra il provocatorio e il disincantato; come non citare una delle canzoni cantate dalla Simon e dalla Bates ‘Ode a una scopata’ (se volete conoscere il testo… vedetevi il film!).

La pellicola fu presentata a Praga con 35 anni di ritardo (meno dei 61 de L’age d’or, 1930). Interessanti queste parole di Forman: «volevo realizzare un film come si faceva in Cecoslovacchia […] ci si guardava intorno per vedere cosa stava accadendo, e da lì si creava una storia». Da una trama essenziale, Forman sviluppa un piccolo studio sulla distanza generazionale, il tutto con uno stile registico inedito per la cinematografia americana, con un budget ridotto al minimo e un cast semi-sconosciuto. Nella scena delle audizioni si nota una giovane Jessica Harper (scena che vi raccomando!). Il film segna inoltre, l’esordio di Kathy Bates (Misery non deve morire, 1990 e presenza fissa in AHS – 2011 – in corso – fin dalla III stagione) e la presenza di una giovanissima Frances McDormand (Tre manifesti a Ebbing, 2017 – Nomadland, 2020).

La pellicola possiede un alone leggendario, tanto che ad oggi non esiste una versione ufficiale in dvd. Premiato sia a Cannes che a Belgrado, il racconto è svolto con originalità e un delicato umorismo boemo, inserito però in un tipico contesto da commedia americana. Taking Off è un film curioso, con una visione squisitamente ‘gentile’ sulla confusione e sulla difficile comunicazione genitori-figli; sullo stesso tema come non ricordare Il calamaro e la balena (2005) e The Meyerowitz Stories (2017) entrambi del bravissimo Noah Baumbach (Storia di un matrimonio, 2019) e Lady Bird (2017) della moglie di quest’ultimo, Greta Gerwig (Piccole Donne, 2019).

Tra speranze e desideri irrealizzati, tra l’ipocrisia medio-borghese e il tipico velleitarismo giovanilistico (meno affettuosamente tratteggiato rispetto al cult The breakfast club – John Huges, 1985), tra ansie genitoriali, atteggiamenti nevrotici e preoccupazioni totalitariamente infuse sui figli, di fronte al taking off (il decollare) dei giovani la ricerca, più che fisica, diviene di senso. Gli affranti genitori cercano di capire il nuovo contesto sociale, fatto di droghe e di compagnie ‘scapestrate’ nel quale i figli, nati entro i confini del boom di nascite avvenuto all’indomani della seconda guerra mondiale, cercano di trovare scampo dal recinto di ‘tenchiana’ memoria, dall’ipermercato filmato metaforicamente da George Romero in Zombie (1978) dove zombie di consumatori, consumano appunto le loro routinarie esistenze.

Lo spaesamento dei giovani ‘sessantottini’ è la stessa di quella che troviamo nella sequenza iniziale de Il Laureato (accompagnata dalla splendida The sound of silence di Simon & Garfunkel), e a quella stordita rabbia di molti genitori che a un figlio libero e vivo ne preferiscono uno sotto controllo, ma ‘morto’ nell’anima (a volte anche letteralmente). Di esempi nella cinematografia americana ne abbiamo moltissimi da Belli e dannati a Vivere in fuga (entrambi con River Phonex), American Beauty, Cielo d’Ottobre fino al cult, dal titolo apodittico, Gioventù bruciata (1955 dove James Dean, l’attore protagonista, condivide con Phoenix il non aver vissuto oltre i 24 anni).

Nonostante tutto, dobbiamo ricordarci che Forman sta comunque girando una commedia. In fondo i genitori, pur giudicando le nuove generazioni ‘degenerate e libertine’ e sicuramente peggiori di quelle precedenti, con il procedere della ricerca si rendono conto che le distanze si accorciano; gli stessi adulti, lasciati ‘al libero pascolo’ si immedesimano fin troppo nella libertà dei sensi…

Del resto, sentite Socrate: «la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori». E Esiodo non è da meno: «non ho più speranza alcuna per l’avvenire del nostro paese, se la gioventù d’oggi prenderà domani il comando […] perché è una gioventù senza ritegno e pericolosa». E dulcis in fundo: «il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana». Quest’ultima è una citazione di un sacerdote egiziano che risale al Duemila (avanti Cristo).

Le difficoltà dell’adolescenza vengono pertanto, quasi parallelamente, accostate a quelle dell’essere genitore e forse, anche i cinquantenni hanno bisogno di ‘fuggire’. In uno scoppiettante andirivieni di tonalità, che passano dall’ironia all’assurdo, attraverso lampi di umorismo sarcastico (le già citate scene con i genitori che fumano marjuana, dello strip poker e dell’audizione), il film assume un fascino insolito, soprattutto nell’evidente difficoltà di Larry e Linn (i genitori di Jeannie) di venire a patti con l’inaspettata incomunicabilità venutasi a creare con la propria figlia. Questa ragazza incarna un po’ la figlia ‘di tutti’ e le tribolazioni che ogni genitore affronta nel tentare di crescere i propri figli. Il gap comunicativo è forse tutto nel fermo immagine sul volto sprezzante di Jeannie, mentre i suoi genitori cercano di intonare un pezzo della loro ‘epoca’ di fronte a lei e al suo fidanzato.

Pertanto, mi sento di consigliarlo poiché, nonostante l’abbondanza di immagini e situazioni seventies, qualsiasi spettatore, anche cinquant’anni dopo, potrà ritrovare le tipiche dinamiche genitori-figli e magari sorriderne perché, seppur i millenni passino, in fondo lo ‘scontro generazionale’ fa un po’ parte del nostro dna…

  • Consigliati: L’age d’or (Luis Buñuel, 1930), Gioventù bruciata (Nicholas Ray, 1955), L’angelo sterminatore (Luis Buñuel, 1962), Il laureato (Mike Nichols, 1967), Easy Rider, (Dennis Hopper, 1969), Il fascino discreto della borghesia (Luis Buñuel, 1972), Qualcuno volò sul nido del cuculo (Milos Forman, 1975), Amadeus, (Milos Forman, 1984), The breakfast club (John Huges, 1985), Vivere in fuga (Sidney Lumet, 1988), Misery non deve morire, (Rob Reiner, 1990), Belli e dannati (Gus Van Sant, 1991), American Beauty (Sam Mendes, 1999), Cielo d’Ottobre (Joe Johnston, 1999), Il calamaro e la balena (Noah Baumbach, 2005) e The Meyerowitz Stories (Noah Baumbach, 2017), Lady Bird (Greta Gerwig, 2017), Storia di un matrimonio (Noah Baumbach, 2019), Piccole Donne (Greta Gerwig, 2019).

Regia: Milos Forman

Cast: Mary Mitchell, Linnea Heacock, Buck Henry, Lynn Carlin

USA 1971

Romuald Marchionne

Letterato di formazione e fumettaro da sempre, amo il cinema in ogni sua singola sfaccettatura, genere e stile, periodo storico, regista e nazione. La folgorazione è avvenuta con Furore (The grapes of Wrath, 1940) di John Ford. In seguito I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), con i sette minuti più belli della storia del cinema, mi hanno rapito per sempre nell'infinito universo della settima arte. Nella mia top 10 c'è di tutto, anche se il realismo poetico francese degli anni '30 ha un posto speciale nel mio immaginario...

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