Orfeo, un cinema che si fa poesia… o la poesia che si fa cinema

 

In questo adattamento del mito di Orfeo, la Morte è una principessa, accompagnata nel suo vagare da una banda di motociclisti vestiti di nero, il Poeta (interpretato da Jean Marais) è un’esistenzialista della Rive Gauche (consiglio di ascoltare l’omonima canzone di Alain Souchon).

All’inizio del film una sequenza molto vivace e caotica introduce un giovane poeta che si scaglia contro la generazione precedente di artisti. La sua improvvisa morte di fronte al protagonista maschile sarà il motivo dell’incontro tra Orfeo e la misteriosa principessa. Orfeo passa le sue giornate ad ascoltare ossessivamente dei messaggi misteriosi che provengono dalla radio della sua auto in garage.

A seguito della morte della moglie Euridice, il poeta si reca nell’aldilà attraverso uno specchio (come Neo nell’ultimo Matrix). Nel frattempo, però, la Morte si è innamorata di Orfeo, mentre l’autista della Principessa si innamora di Euridice. Attraverso questo specchio Orfeo compirà due volte il viaggio nell’aldilà. Nel primo, con l’aiuto dell’autista Heurtebise, Morte riporta Orfeo nel mondo dei vivi dove ritrova la sua Euridice, potranno restare insieme a patto però che lui non la guardi più; lo sguardo fugace su uno specchietto retrovisore, tuttavia la farà scomparire (così come nel mito originale). Durante il secondo viaggio Orfeo rivede Morte e si rende conto che anche lui la ama. Lei per poter stare con lui rinuncia alla sua immortalità (un po’ come nel finale della prima stagione di John Doe di Recchioni e Bartali), ma viene scoperta…

Tutti i trasgressori verranno puniti da un oscuro tribunale e, se Orfeo ed Euridice, torneranno in vita dimentichi di tutto, Morte e il suo autista si incammineranno verso una punizione misteriosa (e ci ricordiamo della camminata solitaria di Toguro nell’aldilà alla fine della prima saga di Yu Yu Hakusho).

Jean Cocteau, artista incredibilmente versatile e originale (studiò da autodidatta), unisce intelligenza e potenza espressiva; interessato al disegno, alla musica, alla letteratura e al teatro, invidiato persino da Proust, fu nella vita infermiere durante la Prima guerra mondiale e uomo mondano durante la seconda, volle però sempre essere definito solo come poeta. Indimenticabile il suo testo Una voce umana dal quale Rossellini trasse l’episodio con la Magnani ne L’amore (1948). I suoi film sono spesso, appunto, poesie per immagini. Immagini misteriose, potenti e pregne di un forte simbolismo (come solo sanno essere le parole dei poeti). Immagini che rimandano ad ‘altro’.

C’è chi pensa che i suoi film abbiano introdotto l’immaginario surrealista nel cinema francese che, in una certa misura, influenzerà la Nouvelle Vague. La sua regia ha un ritmo sognante, ma innestato in una grammatica precisa, puntuale, consapevole. Ogni trovata visiva è l’equivalente di una figura retorica. Una delle idee più impattanti del film è quella del passaggio tra le due realtà attraverso lo specchio.

<Guardatevi per tutta la vita in uno specchio e vedrete la morte lavorare>, queste le parole di Heurtebise e, a meno che non si faccia, come Dorian Gray, un patto col diavolo l’idea che ne riceviamo è drammaticamente incisiva. Questa scena fu girata tramite un geniale espediente. Marais fu ripreso mentre, indossando dei guanti, immergeva le mani in una vasca di mercurio.

Cocteau si ispirò a un suo dramma del 1926 (Le sang d’un poéte) per creare quella che diversi critici hanno denominato La trilogia di Orfeo (Le sang d’un poéte, 1930 – Il testamento di Orfeo, 1960). Percorso di analisi sulla morte, ma soprattutto sulla sofferta intima battaglia del poeta che, assume su di sé, il ruolo di portale tra due mondi: realtà e fantasia. Alcune voci critiche ritengono il film un arzigogolato dramma poetico francamente invecchiato male, forzato negli intenti e percorso da una recitazione teatrale schiettamente sopra le righe. Le interpretazioni della trama sono però numerose. Le ripetuti morti attraverso le quali il poeta passa, sarebbero necessarie acciocché la sua poesia si eternizzi; c’è poi la logica del sogno, che opera costantemente nella vita di tutti, ma soprattutto negli artisti.

C’è chi addirittura ha visto nel film una metafora del passaggio di decade, dalla distruzione degli anni 40 alla speranza di un mondo nuovo agli albori dei 50. La sequenza iniziale, ad esempio, regala uno spaccato indelebile della cultura giovanile del dopoguerra in rotta di collisione con i ‘dinosauri’ precedenti (esemplificata nella figura del turbolento Cégeste). Le stesse atmosfere da pittura neoromantica risentono probabilmente delle intemperanze giovanili del poeta in risposta agli attacchi dei surrealisti, soprattutto nella figura di André Breton, negli anni 20.

Così come i misteriosi messaggi dell’autoradio (che ricordano il b movie Zontar: The things from Venus, 1966) potrebbero rimandare ai messaggi in codice mandati dalla BBC alla resistenza francese, o gli oscuri tribunali dell’aldilà rimanderebbero ai processi successivi al 45 (e agli atteggiamenti ambigui del poeta durante la guerra). Il film, comunque, resta memorabile oltre che per la sequenza dello specchio, anche per la potenza fotogenica di Jean Marais (indimenticabile ne La bella e la bestia, 1946) e Maria Casares. Degno di nota anche il cameo di Juliette Greco (amica di Euridice).

Vincitore del premio della critica a Venezia, Orfeo presenta effetti visivi bizzarri ma efficaci (non ai livelli de Il tempo dei gitani di Kusturica però), che immergono lo spettatore nelle numerose transizioni fantastiche. Pervaso da una tensione costante e sottile, ha un che di ossessivo e disturbante, una frustrazione mai placata e la costante vulnerabilità di fronte al fato di tutti i protagonisti.

Concludo, azzardando la possibilità che ci sia anche una critica alla ‘placida vita domestica’ e ai compromessi che il genio deve fare (limitando di fatto la sua arte), per vivere in ‘armonia’ con la società. Si veda il finale dove Orfeo ed Euridice, con la memoria cancellata delle loro trasgressioni amorose e dei loro viaggi ultraterreni, si ‘accomodano’ nella riconciliante prossima maternità di lei e nella rinuncia ai furori artistici di lui, per godere più serenamente della sua ‘professione d’artista’.

  • Consigliati: Le sang d’une poète (1932), Traité de bave et d’éternité (1951), The end (1953), Orfeo negro (1959), Il testamento di Orfeo (1960)

Regia: Jean Cocteau

Cast: Jean Marais, María Casares

Francia 1950

Romuald Marchionne

Letterato di formazione e fumettaro da sempre, amo il cinema in ogni sua singola sfaccettatura, genere e stile, periodo storico, regista e nazione. La folgorazione è avvenuta con Furore (The grapes of Wrath, 1940) di John Ford. In seguito I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), con i sette minuti più belli della storia del cinema, mi hanno rapito per sempre nell'infinito universo della settima arte. Nella mia top 10 c'è di tutto, anche se il realismo poetico francese degli anni '30 ha un posto speciale nel mio immaginario...

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