Toro Scatenato, un film sulla boxe che non parla di boxe

 

Tra i grandi temi trattati dalla settima arte, non possiamo non tenere in conto quello del pugilato.

Recentemente abbiamo visto sugli schermi il terzo capitolo di Creed (Michael B. Jordan, 2023), che segue a ruota l’esalogia di Rocky (su Netflix consiglio la visione di Sly, sulla scia di un altro documentario, questo in tre parti, su Arnold Swarzneger: Arnold). Rocky (John G. Avildsen, 1976), e i suoi sequel (l’ultimo Rocky Balboa trent’anni dopo, nel 2006), sono i film che più di ogni altro hanno reso iconica la bella arte della boxe.

Spesso i fighting movies si focalizzano sulla parabola caduta e riscattoFin dalle prime narrazioni sul tema, pensiamo al capolavoro manga di Tetsuya Chiba e Ikki Kajiwara Ashita no Joe (in italiano Rocky Joe, 1968 – 1973), il protagonista perde, si rialza e vince (qui, come in Rocky, la boxe viene usata come mezzo per una rivincita esistenziale).

A volte però, come nel caso di Joe, il finale può essere amaro (Million dollar baby, Il professionista, straordinario romanzo di W. C. Heinz da ‘pugno nello stomaco’) e succede che, come nel famigerato ultimo numero di Ken Parker (di Berardi e Milazzo), una vita di onestà, coraggio ed etica non venga ripagata dal destino con giustizia.

In altri casi, la boxe serve come pretesto per raccontare un periodo storico o scandire la biografia di un personaggio (Cinderella Man, Alì, The boxer, Hurricane); alcuni la usano come divertissment (pensiamo alla divertente sequenza di Brad Pitt in Snatch), o come metafora di riscatto umano (The fighter, Il sentiero della gloria e Stasera ho vinto anch’io). In storie che talvolta appaiono come favole, non dobbiamo dimenticare che, i lungometraggi sulla cosiddetta nobile arte sono, in soldoni, degli scontri tra ‘due tizi’ che se ne danno di santa ragione.

Nel film di cui vi parlerò oggi, Toro Scatenato di Martin Scorsese con Robert De Niro, la boxe è  solo un modo per guadagnarsi da vivere ed è, forse usata, come un espediente per rilasciare la rabbia accumulata durante il quotidiano. Toro Scatenato è la biografia di Jake La Motta, che sul finire degli anni 40, fu incoronato campione del mondo dei pesi medi (49 – 51) e del suo stile di vita paranoico e violento.

Scorsese gira il racconto in un sobrio bianco e nero, che ben si sposa con il tono depresso e misero della vicenda. Il regista affermò che la scelta estetica per Toro Scatenato, fu dovuta all’impossibilità di poter replicare il crudo realismo dei diciotto minuti di combattimento. Il film poggia su un De Niro epico. La sua è una performance perfetta. In Toro Scatenato avviene una totale sintonia tra regista e attore (i due hanno lavorato insieme in dieci film).

Al di là dei cosiddetti attori-feticcio (Tim Burton – Johnny Depp, Scorsese – Di Caprio, Kurosawa – Mifune, Capra – Stewart, Sternberg – Dietrich, Pollack – Redford ecc.) qui, la paradigmatica interpretazione di De Niro, si inserisce perfettamente nella congegnata struttura predisposta da Scorsese e magistralmente cadenzata dalla montatrice Thelma Schoonmaker. L’anima ferita e, al contempo violenta, incarnata da De Niro, il suo agire autodistruttivo e le angherie che fa subire alla moglie (che ricordano il recente e bellissimo C’è ancora domani di Paola Cortellesi), fino al processo catartico nel finale massacro sul ring, sono sapientemente tenuti insieme da attacchi di montaggio puntuali ed efficaci (e alcuni ricordano il carrello in avanti che rese mito Bruce Lee in Enter the dragon, 1973).

Dritti, rovesci, uppercut, pugni in contro tempo, tagli sugli zigomi, occhi pesti e nasi rotti, sudore e sangue, flash dei fotografi, inciampi, colpi a vuoto, luci e urla del pubblico e primi piani in still life permisero alla Schoonmaker di aggiudicarsi l’Oscar per il montaggio. La talentuosa montatrice vincerà altre due statuette, sempre con il regista italo americano, nel 2005 con The Aviator e nel 2007 con The Departed.

Come spettatori veniamo tempestati di pugni, quasi fossimo noi gli avversari di La Motta. Le diverse scene di boxe, infatti, sono disturbanti, piene di sangue e violenza, e i pugni, che scavano nella carne e sfigurano i volti, fan quasi avere la sensazione di essere lì a bordo ring. Nel più classico degli iter drammatici, ovvero ‘dalle stelle alle stalle’, Scorsese ci regala un ricco ritratto di questo pugile italo-americano (uno di una lunga serie: Rocky Marciano, Rocky Graziano e l’italianissimo Primo Carnera raccontato in Il colosso d’argilla, 1956).

Come dicevamo, infatti, la pellicola, attraverso una regia naturale, racconta la vicenda di un grande pugile, che da piccolo teppistello del Bronx, aiutato dal fratello manager Joy, si fa strada attraverso vari incontri e arriva a diventare campione dei pesi medi, fino a essere il primo a buttare al tappeto e a sconfiggere il leggendario Sugar Ray Robinson. Tuttavia, il rifiuto di accettare la sponsorizzazione del boss locale, Tommy Como, ostacolerà la sua carriera. In seguito ritiratosi dalle ‘scene pugilistiche’, lasciato dalla moglie, sulla soglia della povertà, cercherà di trovare una patetica rivincita come intrattenitore di night club.

Con una forte focalizzazione sulla fisicità dei protagonisti, sentiamo palpitare nel racconto una violenza primigenia che avvolge relazioni e situazioni in maniera pervasiva. Grande incassatore (come Rocky e come Micky Ward in The fighter), ma anche furioso picchiatore (negli anni 90 avremo Mike Tyson), nel bianco e nero di Chapman, Jake compie una discesa autodistruttiva, compiutamente rappresentata da De Niro (in una recitazione che definirei estenuante), il quale ingrassò di ben 30 chili per interpretare Jake ormai anziano (si aggiudicò l’Oscar). Volubile e violento, dentro e fuori, il protagonista è uno spiacevole antieroe; un uomo, che sa comunicare solo con i pugni, che sembra non conoscere nessun altro linguaggio se non la violenza. Patologicamente geloso e insicuro, tratta le donne che ama con disprezzo, senza farsi scrupoli ad abbandonare la moglie quando incontra la quindicenne Vicky (Cathy Moriarty, all’epoca diciannovenne). Da quel momento però, comincerà una relazione costellata da scontri e violenta gelosia.

Questo film, costato 14 milioni di dollari e frutto di quasi due anni di lavoro (all’epoca Scorsese aveva problemi di droga), è considerato «il miglior film di ambiente pugilistico della storia del cinema» (Morandini, 2009). Quando De Niro lesse le memorie di Jake La Motta, nessuno riuscì a fermare la fortissima volontà di regista e attore di portare avanti il progetto. Il soggetto fu presentato a Paul Schrader che ne curò la sceneggiatura (lo stesso se ne era occupato per Taxi Driver, 1976).

Scorsese fa della boxe un pretesto per trattare il tema della violenza. Una violenza culturale prima che umana, dove al talento fuori dal comune di Jake, fa da contraltare un uomo inquinato dalla possessività, dalla folle gelosia e da una furia che ci ricorda James Cagney in White heat (1949).

Le istanze paranoiche (durante tutto il film picchia la moglie convinto che lo tradisca), le escandescenze incontrollate, l’aggressività manesca e la violenza bruta di questo toro del Bronx, sono rese ecletticamente da De Niro che, con estrema attenzione, riesce a riproporre anche la teatralità e l’istrionismo eccentrico del pugile (mentre un altro tipo di cattiveria, molto più luciferina e inquietante, è quella dell’attore in Killers of the Flower Moon, dolente in Taxi Driver e folle in Cape Fear); un istrionismo così estremo, che Jake vorrebbe quasi essere applaudito come un novello Laurence Olivier.

Magistrale la scena con Joe Pesci, dove accusa il fratello, in un delirio paranoico, di avere una relazione con la moglie. Un’esplosione di tensione nuda e cruda, scandita da dialoghi eccellenti (quasi tarantiniani) tra velocità scoppiettante e volgare brutalità. Se una dimensione fantasmatica avvolge tutto il film, non passa sottotraccia la denuncia di un certo ambiente ‘machista’ e degradato, che vive e si fonda sulla violenza.

Alcuni critici considerano Toro Scatenato il più grande film degli anni 80. Certamente non sfigura insieme ad altri grandi film di questa decade come Fanny e Alexander, Full Metal Jacket, C’era una volta in America, Ran e Blade RunnerToro Scatenato è quasi un film girato con stile documentaristico, soprattutto all’inizio, dove Scorsese quasi senza sforzo, ricrea la New York degli anni 40. I dettagli delle macchine, dei vestiti e delle ambientazioni sono stupefacenti, esaltati dal bianco avorio e dal nero seppia della fotografia. I momenti pivotali (il matrimonio, la nascita dei figli) si snodano nel racconto, tramite riprese familiari da pellicola 8mm e, come sbiaditi dal tempo, sembrano bozzetti di graffianti immagini fisse, che risultano nella sensazione di guardare del found material.

Ma il film di Scorsese, quarantatré anni dopo, è tutto fuorché sbiadito.

  • Consigliati: Il sentiero della gloria (Raul Walsh, 1942), Stasera ho vinto anch’io (Robert Wise, 1949), White heat (Raul Walsh, 1949), Il colosso d’argilla (Mark Robson, 1956), Rocky Joe (Osamu Dezaki, 1970 – 1971), Enter the dragon (Robert Close, 1973), Rocky (John G. Avildsen, 1976), Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976), The boxer (Jim Sheridan, 1997), Hurricane (Norman Jewison, 1999), Snatch (Guy Ritchie, 2000), Alì (Michael Mann, 2001), Hajime no Ippo The Fighting!  (2000 – 2002), Million dollar baby (Clint Eastwood, 2004), Cinderella man (Ron Howard, 2005), Rocky Balboa (Sylvester Stallone, 2006), The fighter (David O. Russel, 2010), Notorius (Gavin Fitzgerald, 2017), Killers of the Flower Moon (Martin Scorsese, 2023), Creed (Michael B. Jordan, 2023), Arnold (Lesley Chilcott, 2023), Sly (Thom Zimny, 2023), McGregor Forever (Gotham Chopra – Darragh Mccarthy, 2023), C’è ancora domani  (Paola Cortellesi, 2023).

Regia: Martin Scorsese

Interpreti: Robert De Niro, Joe Pesci

USA 1980

Romuald Marchionne

Letterato di formazione e fumettaro da sempre, amo il cinema in ogni sua singola sfaccettatura, genere e stile, periodo storico, regista e nazione. La folgorazione è avvenuta con Furore (The grapes of Wrath, 1940) di John Ford. In seguito I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), con i sette minuti più belli della storia del cinema, mi hanno rapito per sempre nell'infinito universo della settima arte. Nella mia top 10 c'è di tutto, anche se il realismo poetico francese degli anni '30 ha un posto speciale nel mio immaginario...

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