La Casa di Carta, la recensione della prima stagione disponibile su Netflix

 

Il fenomeno seriale del momento. Ovvero La casa di carta, altra scommessa televisiva spagnola distribuita da Netflix e ideata da Alex Pina. Vede come protagonisti dei criminali a cui è stato affibbiato il nome di una capitale diversa: Tokyo (Úrsula Corberó), Mosca (Paco Tous), Berlino (Pedro Alonso), Nairobi (Alba Flores), Rio (Miguel Herrán), Denver (Jaime Menéndez Lorente), Helsinki (Darko Peric) e Oslo (Roberto García Ruiz). Questi personaggi sono stati contattati da un uomo che si fa chiamare il professore (Alvaro Morte), il quale propone di compiere la rapina più grande di tutti i tempi, ovvero quella alla Fábrica Nacional de Moneda y Timbre, zecca nazionale spagnola di Madrid, prendendo in ostaggio gli addetti ai lavori e una scolaresca in gita per stampare 2.400 milioni di euro. Raquel Murrillo (Itziar Ituño) è l’ispettore capo a cui viene affidato il compito di trattare con i rapinatori, specialmente con il professore, il quale devia continuamente sulle sue domande. La prima stagione si concludeva con l’entrata della banda nella zecca di Stato. La seconda, invece, si apre con le scoppiettanti scoperte dell’ispettrice sui membri della banda che mettono a dura prova i piani del loro leader. Riusciranno a prendere i soldi e farla franca?

La serie presenta due aspetti positivi: l’estetica, prima di tutti. La maschera di Dalì è stato un espediente originale, non adoperato da nessuno prima d’ora. Il secondo è la trama intrecciata, soprattutto per quanto concerne il rapporto tra i singoli protagonisti, come si evince dalle parole di Tokyo «La cosa bella dei rapporti è che ti dimentichi di come sono iniziati». Ma da contraltare, l’aspetto negativo di questo tessere accuratamente le minuziose descrizioni dei protagonisti è dato da un significativo rallentamento dell’azione. Quello che dovrebbe essere il fulcro della serie, ovvero l’heist-movie iscritto nel genere dei film dal colpo grosso, cede presto il passo a intrighi amorosi, flashback e rapporti interpersonali. La prima parte è caratterizzata dalla presentazione dei personaggi solamente in linea generale e da una trama dinamica, la seconda è caratterizzata da uno studio maniacale della psiche umana.

Certo, tutto gira sempre attorno al denaro. La rapina è l’evento che porta all’azione gli otto personaggi. Mentre Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri, nella casa de papel i ladri rubano soldi di ignota appartenenza per intascarseli nel proprio tornaconto personale. Il paragone con il più famoso principe dei ladri emerge dalle parole del professore «Fate attenzione: perché se dovessimo versare una sola goccia di sangue non saremmo più dei Robin Hood ma diventeremo dei semplici figli di puttana». Del resto è sempre lui ad affermare «Potresti realizzare tutti i tuoi sogni senza far del male a nessuno». Altro aspetto che concerne il dio danaro riguarda la corrente di pensiero dei protagonisti, dettata lungo un netto cambio di rotta dalla concezione prettamente marxista a una più sbiadita di natura gentista, senza però la componente politica.

Altro aspetto interessante è la figura retorica del climax: vi è un crescendo di stanchezza, dubbi, timore per la riuscita della missione che affonda le radici, seppur in modo impercettibile, già sul finire della prima stagione. A cercar di sedare queste paure sono ancora puntuali i contrappunti professore «Arriverà il momento in cui penserai che tutto sia sul punto di crollare, che tutto stia andando male e ti sentirai completamente sola. Ma io ti prometto che questo non succederà. Ho pensato a tutto. E poi sono un uomo fortunato». Reso evidente anche dalle pensiero in soggettiva di Tokyo (la voce narrante) «Il lavoro meglio retribuito della storia. Duemilaquattrocento milioni di euro… o forse più. Dipendeva da quanto saremmo riusciti a resistere».

Perché qui, l’espediente migliore, è relegato ad una galleria di personaggi formidabili, che abbracciano ruolo per ruolo: eroe, aiutante, villain e anti-eroe. Analizzando l’ultima figura di questo elenco possiamo parlare di vere e proprie anti-eroine, ravvisabili nelle figure di Tokyo e Anaerobi. Torna esplicita la frase di Tokyo «Credo di essere inaffidabile, rovino la vita a tutti. È come se mi stessi vedendo in un film, sai? E non mi riconosco. Credevo di essere differente. Ma sono una pazza fottuta che danneggia tutti. Che si stanca di tutto. Non rende felice nessuno. E non mi piace essere così». Nonostante oltraggino il lavoro dei compagni in diverse occasioni, sono quelle che intrigano il telespettatore che ne rimane completamente soggiogato e affascinato.

Pertanto, malgrado l’esiguo numero di personalità femminili (Tokyo, Nairobi e Murrillo), i rapporti di poteri uomo-donna giocano un ruolo essenziale e sono più che mai centrali all’interno della serie. Meticolosa attenzione è poi riservata all’ispettrice capo, la quale viene raffigurata come una donna forte, ma fragile allo stesso tempo. La sua esistenza gira intorno al lavoro: matrimonio fallito, ex marito violento, madre che soffre di Alzheimer e la crescita della sua piccola bambina. Sfida i clichè quando si lascia andare al corteggiamento finalizzato all’apprensione di notizie da parte del professore. Le due ladre, Tokyo e Nairobi, diventano invece personaggi complementari: la prima è riservata, non parla quasi mai di sé e le uniche informazioni dal suo passato le intuiamo nel primo episodio della prima stagione; mentre Nairobi è più esuberante, dal carattere sbarazzino e sfacciato nell’intercalarsi sulle decisioni della banda. A dar adito a quest’ultima è la secca risposta nei confronti del professore «Professore, sono Nairobi. Berlino è fuori gioco. Quindi a partire da ora sono io al comando: comincia il matriarcato». Ne la casa di carta ogni personaggio aspira a diventare il leader della squadra. Tale compito è stato affidato a Berlino, il quale mostra grandi doti di leadership, eppure la sua autorità viene messa a dura prova soprattutto dalla controparte femminile. Berlino è la rappresentazione vivente del puro e crudo maschilismo, che critica il ruolo della donna e in più occasioni riflette sulla presunta superiorità dell’uomo. Convinto del suo (fittizio) essere superiore, sfrutta per scopi puramente sessuali la minorenne Ariadna (Clara Alvarado).

Insomma, La casa de Papel rimane una delle serie meglio riuscite del colosso streaming. Molti argomenti sono sviscerati e trattati con intelligenza, mentre altri, ritenuti meno importanti, vengono solo scavati in superficie. Recentemente è uscito il trailer della terza stagione e gli appassionati non fanno altro che parlar di loro. Per un trionfo di pubblico dalle proporzioni globali, che attende con trepidazione il proseguo dei loro misfatti e rapine.

LA CASA DI CARTA

Cast: Úrsula Corberó, Paco Tous, Pedro Alonso, Alba Flores, Miguel Herrán, Jaime Menéndez Lorente

SPAGNA 2017

Trailer de La Casa di Carta

Matteo Platania

L’amore per il cinema d’animazione deriva da un evento avvenuto circa 15 anni fa: la visione del film “La città incantata” di Miyazaki. Da quel momento decisi di recuperare più film d’animazione giapponese possibili, fino ad avere un mio bagaglio culturale. L’amore per il genere d’animazione mi accompagna fin da piccolo ed ora voglio sviluppare tutto il mio potenziale scrivendo recensioni

2 pensieri riguardo “La Casa di Carta, la recensione della prima stagione disponibile su Netflix

  • marzo 11, 2019 in 5:19 pm
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    thank you very much 😉

     
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  • marzo 11, 2019 in 5:21 pm
    Permalink

    thank you for your tips

     
    Risposta

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