Lady Bird di Greta Gerwig

 

La riaffermazione di una forte identità. Al di là del nome, oltre le origini, delle proprie storie e quelle omologazioni di una provincia americana guardata con amore/odio, o perlopiù, raccontata come un mondo di ostacoli da oltrepassare. Contro il conservatorismo delle istituzioni, l’arretratezza della scuola cattolica, un contesto famigliare poco duttile al cambiamento perché inchiodato alle radici, a quei sapori ora malinconici ora scivolati in litigio.

L’adolescente Christine è nata e cresciuta a Sacramento, in California, rigetta il nome che le è stato attribuito, per usarne un’altro che si è scelta: Lady Bird. Anarchica e di spirito ribelle, sogna da sempre di partire, lasciare la vita poco motivante in cui è immersa per l’appagante e sognante città di New York. Giunta all’ultimo anno di liceo, la diciassettenne è però costretta ad iscriversi al club teatrale scolastico, così da raggiungere i crediti extracurricolari per dare l’ammissione al college dei suoi sogni.

Lady BirdLa cifra è quella del cinema indipendente, ma Lady Bird ha il pregio di sublimarla in qualcos’altro, fuori dal coro di una retorica minimale e dentro un film dolce & amaro che fa esplodere pulsioni sottocutanee di quell’oscura età che è l’adolescenza. Sull’ambiguo territorio fra il dissacrante e l’indole polemica, la commedia sofisticata e il dramma generazionale (dove centrale è il rapporto tra Saoirse Ronan e Laurie Metcalf, bravissime nel mettere in scena il conflitto tutto mentale madre-figlia), per trascendere un messaggio emozionale, appunto universale.

E’ soprattutto questo il punto di vista (al) femminile di Greta Gerwig, senza sbavature, ma ben salda e temperata dietro le mentite spoglie di un coming of age dalla fiera partitura indie, a cui si sovrappongono Noah Baumbach e tutto l’immaginario più ricorrente di un’intera generation di filmaker (non ultimo il David Gordon Green di George Washington). Ma, anche, sorprendentemente una storia scevra da buonismi consolatori quanto invece carica di candore, genuinità di scrittura, amore per i suoi interpreti su cui divincolare sfumature sottili, l’isteria delle delusioni non prive di dramma e tenerezze, fino a professare una più lungimirante (e matura) riconciliazione .

Perché le ambizioni personali, i sogni da realizzare, quelli di tutti, presentano (sempre) dei pegni da pagare. Rischia di correrli anche Lady Bird, con un finale dondolante, quasi un pò banale nel tastare più un’amara nostalgia che il vuoto – ora consapevole – di un’identità troppo in fretta ripudiata. Eppure alla Gerwig basta l’occhio ceruleo di un immagine, girata con sfrontata naturalezza, per spazzare via molte zone opache e consegnarci il suo intimo rito di passaggio: dove mentre «non succede nulla, si sogna New York».

LADY BIRD

Regia: Greta Gerwig

Cast: Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Lucas Hedges, Timothée Chalamet

USA 2017

Trailer di Lady Bird

Francesco Bruni

Lynchiano di spirito, Malickiano di adozione, mi cimento con la 7 Arte da quando possiedo memoria. Ho collaborato con diverse testate online, esplorando il cinema in tutte le sue forme, prodigandomi nella tecnica audiovisiva come nella scrittura di critica giornalistica. DaDamovie è il mio primo blog cinematografico.
 

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